LA STAMPA - CRONACHE
Martedì 10 Luglio 2001
Quel lampo formidabile è un nuovo buco nero
Piero Bianucci
In media ogni giorno nell’universo splende un lampo di raggi gamma di incredibile energia.
Una energia pari a quella emessa da tutte le stelle di tutte le galassie dell’universo, cioè da 100 miliardi di miliardi di stelle. È il fenomeno più violento mai osservato dopo il Big Bang. E fino a ieri il più misterioso.
Tre articoli che compaiono oggi sull’Astrophysical Journal ne danno una spiegazione completa.
Ogni lampo corrisponde alla formazione di un buco nero in qualche remoto angolo dell’universo e finalmente si è capito il meccanismo con cui un buco nero può emettere una tale enorme bolla di energia, pari alla annichilazione della metà della massa-energia della stella progenitrice che, collassando, crea il buco nero.
La prima firma è quella di Remo Ruffini, presidente del Consorzio Internazionale di Astrofisica Relativistica (Icra) e professore all’università di Roma, che per questo lavoro ha collaborato con Pascal Chardonnet dell’Université de Savoie, con il cinese She-Sheng Xue e con due giovani ricercatori, Carlo Lucio Bianco e Federico Fraschetti.
È il punto di arrivo di una ricerca che dura da trent’anni e che finalmente ha trovato nei dati forniti da quattro satelliti per l'osservazione del cosmo nei raggi X il suo banco di prova.
Osservazioni sperimentali e previsioni teoriche corrispondono con una precisione del millesimo di secondo, pur riguardando fenomeni che avvengono a 10 miliardi di anni luce di distanza, all'orizzonte estremo esplorabile con il telescopio spaziale "Hubble".
Scienziati di 10 paesi stanno discutendo questi risultati a Pescara nel nuovo Centro dell'ICRA.
La storia inizia negli Anni 60, quando i satelliti spia americani, messi in orbita per scoprire eventuali violazioni del trattato sugli esperimenti nucleari nell’atmosfera da parte dell’Unione Sovietica, osservano per la prima volta i lampi di raggi gamma (la più energetica delle radiazioni elettromagnetiche).
Poiché le bombe nucleari emettono raggi gamma, i sospetti cadono subito su Mosca ma studi più accurati rivelano che il Cremlino è innocente: i lampi arrivano dallo spazio esterno alla Terra.
All’epoca in tre centri al mondo si facevano i primi passi del nuovo campo di ricerca dell'astrofisica relativistica: a Princeton, intorno a Wheeler, a Cambridge, e a Mosca intorno a Zel’dovich.
Si andava sviluppando la teoria dei collassi delle stelle  e quindi dei buchi neri, che delle stelle collassate più massicce sono, appunto, i cadaveri.
E fu proprio a Princeton che Ruffini, ventiseienne, con il suo studente Demetrios Christodoulou, nel 1971 scoprì quella formula di massa dei buchi neri che oggi si trova nei libri di testo universitari e da cui si deduceva che i buchi neri non sono solo degli assorbitori di massa ed energia ma possono essere le più potenti sorgenti di energia dell’universo.
Fino a 50 per cento della loro massa-energia può essere estratta: rimaneva da capire come estrarla e da verificare questa predizione così sorprendente.
Nel 1975 Ruffini con il suo studente Thibau Damour, ora il più giovane membro dell'Accademia di Francia, trovò che un metodo per estrarre energia da un buco nero era di utilizzare l’energia elettromagnetica della stella morente: durante il collasso in buco nero questa energia può raggiungere una intensità tale da "polarizzare il vuoto", estraendone una enorme quantità di elettroni e positroni, fenomeno che Heisenberg che aveva previsto nell'ambito della fisica delle particelle elementari e che è connesso al famoso principio di indeterminazione.
Questo fenomeno poteva spiegare i lampi di raggi gamma: una enorme liberazione di energia, che crea una bolla in espansione alla velocità della luce, 10 secondi prima della definitiva formazione del buco nero.
Ma non vi era a quel tempo nessuna evidenza che per spiegare i lampi gamma vi fosse la necessità delle enormi energie previste dal modello.
Non conoscendo l’energia delle sorgenti di questi eventi non si conosceva la loro distanza.
Ma negli ultimi anni il satellite italiano "BeppoSax" e i satelliti americani "Rossi" e "Chandra" negli hanno permesso di stabilire la distanza dei lampi gamma e quindi la loro vera energia.
In un solo colpo sono caduti i circa 150 ipotetici modelli fisici per spiegare i lampi: nessuno riusciva a spiegare i flussi di energia richiesti.
Ruffini e il suo gruppo hanno subito ripreso in mano le vecchie ricerche teoriche alla luce dei nuovi dati, verificando in tempo reale i risultati con simulazioni effettuate al Livermore Laboratory in California, un centro di ricerca sulle armi termonucleari che copre con il segreto gran parte dei suoi studi ma che, in questo caso, ha accettato di validare i risultati degli astrofisici.
Tutto quadrava alla perfezione.
Il lampo corrispondeva all'ultima drammatica fase del collasso, pochi secondi prima della formazione del buco nero, che è il destino di tutte le stelle  che abbiano una massa superiore a circa 3 volte quella del Sole.
Per arrivare a questo risultato Ruffini e il suo gruppo hanno dovuto introdurre nuovi paradigmi interpretativi.
Nel primo articolo stabiliscono le relazioni spazio-temporali, seguendo le teorie di Einstein.
Nel secondo riescono a spiegare tutti i particolari del lampo di raggi gamma.
Nel terzo presentano un nuovo straordinario fenomeno.
L'onda d’urto del lampo gamma prodotto nella formazione del buco nero, investendo una stella massiccia nelle vicinanze, può farla a sua volta esplodere in una supernova: una grandiosa carambola cosmica che permette di osservare il nucleo di ferro nascosto nel cuore della stella che collassa.

Gli articoli che compaiono oggi, insomma, sono una pietra miliare dell'astrofisica: spiegando il fenomeno dei lampi gamma, ci fanno per la prima volta toccare con mano la finitezza dell'universo proprio in quel lampeggiare che corrisponde alla formazione di un buco nero al giorno nell’intero cosmo, e insieme aprono una finestra sugli istanti finali del collasso stellare facendoci assistere in diretta alla nascita dei buchi neri.

È un campo di osservazione nuovo che si spalanca davanti agli occhi degli astrofisici.